REFERENDUM DA SALVARE

Michele Ainis su La Repubblica del 6 giugno 2025

Un quesito sulla cittadinanza, quattro quesiti sul lavoro. Ma c’è un sesto referendum che reclama il nostro voto, benché non sia stampato sulla scheda. È il referendum sul referendum, sulla sopravvivenza di questo strumento di democrazia diretta. Dopo trenta consultazioni andate a vuoto, stavolta c’è proprio il rischio di celebrarne i funerali.

Sicché, al di là del merito dei quesiti, sussiste una ragione più grande, più potente, per correre alle urne. È la democrazia, questa ragione. È la possibilità di praticarla, d’esercitare in concreto la sovranità che i costituenti attribuirono agli elettori, non agli eletti. Consegnandoci così una doppia scheda: la prima per scegliere i governanti che decideranno in nostro nome; la seconda per decidere in prima persona, senza deleghe, senza intermediari. Con un referendum popolare, per l’appunto. Come quello che ne11946 battezzò la Repubblica italiana, che ne11993 introdusse la sua seconda stagione. Due schede, come le due gambe che ci portano in giro per il mondo. Se ce ne rimane una soltanto diventiamo zoppi, così come può azzopparsi la democrazia italiana.

La malattia del referendum dipende dalla sua regola cogente: il quorum. Dice l’articolo 75 della Costituzione: il referendum abrogativo è valido «se ha partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi diritto». Perché i costituenti adottarono questo sbarramento? In parte per scongiurare il pericolo che una legge, magari approvata a larga maggioranza in Parlamento, fosse poi bocciata da una sparuta minoranza d’elettori. In parte per misurare la serietà della proposta, il suo rapporto con tematiche d’interesse davvero generale. Se tu indici un referendum per abrogare la legge sui prosciutti (in Italia abbiamo pure quella: n. 401 de11985), io resto a casa, ho di meglio da fare. Ed ecco perché il referendum costituzionale non ha quorum: in quel caso la consultazione popolare è sempre rilevante, dato che si tratta d’emendare la Costituzione.

Sennonché il quorum, nel corso degli ultimi decenni, si è trasformato in una diga, in un muro di cemento che risulta pressoché impossibile scalare. E per due specifiche ragioni. In primo luogo, l’onda di disaffezione e di sfiducia che ha allontanato i cittadini dal rito elettorale. Nel dopoguerra si recava alle urne oltre il 90% degli elettori; oggi vi si presenta soltanto uno su due, quando va bene. In secondo luogo, gli appelli all’astensione da parte di chi è contrario al referendum. «Un trucco», scrisse Norberto Bobbio sulla Stampa nel 1990. Una frode alla democrazia. E di per sé pure un ossimoro: l’astensione denota indifferenza, l’appello serve a mobilitare gli elettori, ma come si può spronarli a rimanere indifferenti?

Tuttavia il trucco, la frode, l’ossimoro hanno ormai messo radici. Usati da politici di destra e di sinistra, di centro e di lato. Tu sommi i tuoi fedeli alla quota d’astensionismo fisiologico (ma ormai patologico) ed è fatta. Per il referendum, un delitto perfetto. Però stavolta non è un giallo, è una commedia all’italiana. Trasmessa in tre atti sugli schermi.

Atto primo: la congiura del silenzio. Tutti zitti nelle tv pubbliche e private, nessuna informazione. Mai svegliare l’elettore che dorme, potrebbe risentirsi.

Atto secondo: si leva il vocione dei pifferai dell’astensione. Presidenti, ministri, sottoministri e sottopresidenti, l’appello a non votare è un coro. Poi qualcuno (su Repubblica,17 maggio) ricorda che quell’appello configura un reato, se pronunciato da chi riveste una pubblica funzione; e si zittisce pure l’appellante.

Atto terzo: la pantomima. Inscenata dalla Premier, dichiarando che andrà al seggio, ma non ritirerà le schede. Scelta legittima, se rifiuti questo o quel quesito, perché lo ritieni irrilevante. Ma se li rifiuti tutti, è come sedersi al ristorante senza ordinare alcun piatto dal menù. Anzi: il presidente del seggio elettorale non dovrebbe nemmeno registrarti, né accettare il tuo documento d’identità, così come nessun vigile può controllare la patente di chi cammina a piedi.

E adesso siamo al gran finale. Chi ha a cuore la democrazia dei referendum potrà proporre di correggerne le regole, abbassando il quorum e magari innalzando il numero di firme necessarie per richiederli. Ma 1’8 e il 9 giugno serve un voto, alla faccia di ogni veto.

link: https://www.repubblica.it/commenti/2025/06/06/news/referendum_8_giugno_voto_ainis-424650733/


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